Uno degli aspetti fondamentali che un architetto deve sempre tenere in considerazione, quando approccia un qualsiasi nuovo intervento progettuale sia esso edile, urbanistico o di design, è il concetto di personalizzazione. La personalizzazione, nel suo significato più comune, è una “strategia di produzione di beni e/o servizi orientata a soddisfare i bisogni individuali degli utenti e che contemporaneamente preservi l’efficienza della produzione di massa, in termini di bassi costi di produzione e quindi prezzi di vendita contenuti” [cit. Wikipedia]. In realtà, quando la personalizzazione è richiesta in fase progettuale, il suo significato assume per il progettista un valore più ampio e dettagliato: “unicità, estetica, su misura” , una sorta di concetto filosofico monista, che si manifesta nell’atto della concezione dell’idea. La concreta realizzazione dell’idea, infine, diviene strategia. La personalizzazione nell’architettura, soprattutto se si parla di interni e di allestimento, è un requisito indispensabile; infatti non si considera più l’utente finale come un possibile fruitore di uno spazio, ma è proprio lui come persona (essere umano) che, con le proprie abitudini, i propri usi e costumi e il proprio modo di essere andrà a vivere e gestire quello spazio. Il fruitore diviene in tal modo il soggetto di uno spazio. Lo spazio progettato seguendo la logica della personalizzazione sarà pertanto pensato come versatile e costantemente modificabile in modo da poter assecondare le scelte della persona che lo abita nei diversi momenti della giornata, ma cosa più importante, la definizione di questo spazio andrà evolvendosi e si adatterà come un abito fatto su misura rispetto le scelte e gli usi che ne farà nello specifico la persona che lo abita. Tutto questo come si traduce nella pratica progettuale? Ogni qualvolta è richiesta una consulenza professionale per la realizzazione di un manufatto vengono espressi dall’utente specifici requisiti tecnico/estetici che il professionista deve sapere cogliere, annotare e restituire graficamente sotto forma di progetto; ma ancora di più, se vogliamo parlare nello specifico di architettura e design, a mio parere, il progettista deve saper coniugare gli aspetti di fattibilità e di rispetto ambientale alle diverse e innumerevoli richieste della committenza. Un esempio specifico lo possono dare la progettazione e l’assistenza del professionista quando si parla di arredo di interni o di installazioni, quando la fruizione e l’utilizzo dello spazio abitato e/o abitabile mediante oggetti concreti diviene il soggetto da sviluppare. Un esempio concreto è rappresentato dall’installazione c/o spazio Missione Architetto di Trezzano sul Naviglio: Una cabina armadio, un guardaroba che si affaccia sul pubblico, aperto, libero, trasparente ed essenziale, eppure atto ad accogliere qualcosa. Supporta, sorregge, sostiene con eleganza e senza fatica gli abiti che noi indossiamo, i “vestiti” dell’architetto, che ha l’obbligo etico e morale di mostrarsi e relazionarsi con il mondo e l’ambiente che lo circonda per le sue competenze, per le sue capacità e per la sua professionalità. Sotto i vestiti, come dentro la cabina, c’è lo spirito e l’essenza di chi veste questi abiti ed ecco che si apre una sala dove vengono mostrati gli aspetti più intimi e personali dell’architetto. Oggetti che ne caratterizzano la persona, lo stile, le ambizioni e l’essere. Come nella società ci si deve mostrare, così l’immagine che noi diamo deve essere lo specchio di quello che più vogliamo, di quello che siamo, di quello cui si ambisce e di quello che rappresentiamo. L’architetto virtuoso indossa un abito, ma non si nasconde dietro ad esso, lo personalizza. Come l’architetto virtuoso sceglie di essere autentico così le sue architetture si configurano come un prodotto originale e tecnologico che si distingue tra le numerose alternative possibili, sempre nel rispetto dell’ambiente, della società e del contesto, dell’uomo e delle sue esigenze.
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La scelta dell’architetto per una ristrutturazione è il punto di partenza. Sarebbe meglio evitare un certo pressapochismo e un modus pensandi ormai, purtroppo, molto diffuso, che vede l’architetto come un’entità organica che non è del tutto necessaria. Basti pensare, ad esempio, che all’inizio quasi tutti interpellano l’architetto per qualche “consiglio”, come se il professionista fosse una sorta di oracolo che, con due parole e un bozzetto progettuale riuscisse a risolvere la situazione con un’idea geniale o una conferma tecnica … tanto poi si può proseguire da soli dopotutto che sarà mai!? Non toccherà certo pagare uno per una chiacchierata e un "disegnino" di quello che già si aveva in mente? Gli è stato detto tutto quello che serviva mica lo ha proposto lui! Peccato che poi questa povera entità organica debba sapersi gestire e giostrare in solitaria all’interno di innumerevoli elementi e variabili di cui la committenza neanche conosce l’esistenza. L’architetto che ristruttura case deve essere, per forza di cose, meticolosamente coinvolto in tutte le fasi (mediamente dai 3 ai 5 mesi per appartamenti di piccola/media dimensione), che vanno dalla configurazione grafica del progetto alla redazione e verifica dei computi metrici, alla scelta delle soluzioni tecniche e dei materiali, degli artigiani, dei fornitori, alla direzione dei lavori e alla contabilità degli stessi e alla liquidazione dell’impresa; insomma un lavoro estremamente complesso dal punto di vista della gestione dei rapporti interpersonali ed umani tra i vari attori coinvolti che, sotto tensione e stress, possono inevitabilmente rompersi o lesionarsi. Un esempio di criticità è quando la committenza reputa la puntualità e la precisione di tale gestione una mera scusa con la quale si vuole convincere la stessa sul “perché” e il “per come” i costi o le tempistiche cambino dopo una serie di ripetute varianti in corso d’opera al progetto iniziale. Bisogna impugnare le redini ben salde e, senza indugi o timori, condurre il carro a destinazione nella buona e nella cattiva sorte. |
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Giugno 2020
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